La selezione al tempo dei social, i recruiter fanno a meno degli annunci

Il mondo delle assunzioni si è trasformato. Chi fa selezione del personale ora si relaziona online con i possibili candidati e sviluppa la reputazione aziendale e è sempre più aggiornato, anche tecnologicamente. I consigli di Anna Martini e Silvia Zanella: “Oggi non è più possibile aspettare che il candidato giusto risponda a un annuncio, ma va intercettato prima ancora che si metta a cercare un impiego”

Il lavoro del recruiter? In continua evoluzione, ma è già cambiato molto strada facendo. Passaggio fondamentale, l’avvento dei social media, che ne hanno stravolto le fondamenta. Fino a qualche anno fa, infatti, era una professione a sé stante e le abilità tecnologiche non erano che competenze aggiuntive, mentre oggi rappresentano la vera ossatura dei recruiter 2.0, il cui successo dipenderà sempre più dalla loro capacità di comunicare online e relazionarsi sui social con candidati, colleghi e clienti. Si chiama proprio “Social Recruiter. Strategie e strumenti digitali per i professionisti HR” il nuovo libro di Anna Martini e Silvia Zanella edito da FrancoAngeli (201 pagine, 22 euro). “La figura del recruiter è cambiata radicalmente con l’ingresso nel mercato del lavoro di persone molto giovani che, abituati a utilizzare gli strumenti social nella sfera quotidiana, hanno cominciato a sfruttarli anche sul lavoro, scardinando di fatto il vecchio ruolo – spiega Anna Martini, nelle risorse umane dal 2001, oggi Digital HR manager & Personal branding strategist presso il Gruppo Lavorint –. Ancora oggi ci sono persone di una certa età e con una lunga esperienza che rifiutano di effettuare questo passaggio, ma sono destinati a rimanere indietro”.

Tra recruiting e marketing. Come sottolinea Martini, la possibilità di selezionare anche attraverso i social accelera i tempi e riduce i confini, ma non solo: dà anche la possibilità di ibridare due concetti fino a poco tempo fa distinti, vale a dire il recruiting e il marketing dell’azienda. “Di fatto, le offerte di lavoro oggi sono da considerarsi come tali – si legge nel libro –: devono essere pubblicizzate”. Allo stesso modo, va promosso anche il brand dell’azienda inteso come employer (datore di lavoro), affinché possa risultare top of mind e con una buona reputazione, e di conseguenza attrattivo per potenziali candidati”.

Ogni azienda è un social network. Legato al concetto di employer branding, Martini e Zanella invitano i recruiter a pensare all’azienda per cui lavorano come a un social network, fatto anche di dipendenti portatori di un patrimonio relazionale. “I selezionatori devono essere in grado di individuare gli influencer, che non necessariamente coincidono con i manager: possono esserci dipendenti particolarmente carismatici, che attirano più like o follower”. Devono essere coinvolti e trasformati in ‘brand ambassador’, “perché sentire parlare bene di un’azienda è più convincente se a farlo non è il proprietario, ma un dipendente. La volontà di comunicare efficacemente passa anche da loro: l’azienda farebbe bene a tenerseli stretti, perché contribuiscono a migliorare il clima”.

Identificare i candidati prima che siano sulla piazza. “Oggi non è più possibile aspettare che il giusto candidato risponda a un annuncio, ma va intercettato prima ancora che si metta a cercare un nuovo impiego. Per questo è fondamentale che i recruiter oggi padroneggino i social – continua Martini –, a partire da LinkedIn, passando per Facebook, Twitter, Instagram, Snapchat. Devono saperli usare in modo adeguato, conoscere i linguaggi di ognuno. Devono capire dove cercare i candidati più adeguati e intercettare i non attivi, per arrivare a identificarli senza che essi siano a conoscenza di essere idonei per questa azienda. In pratica, si tratta di scrivere la storia da zero”.

Le skill del recruiter. Innanzitutto, il recruiter 2.0 deve lavorare sui social per sé stesso, creandosi un’immagine efficace e facendosi riconoscere come professionista. Come detto, deve conoscere i vari social, anche quelli nuovi, per intercettare tutte le fasce d’età: “Penso ai millenials – racconta l’autrice –: loro utilizzano social che gli adulti non conoscono, ma noi, in quanto recruiter, dobbiamo sapere di cosa si tratta per poterli trasformare in strumenti di selezione”. Ancora: deve sapere comunicare per conto delle aziende, essere elastico, curioso, avere la predisposizione a sperimentare e avere la costanza di tenersi aggiornato sui nuovi social (e di tenere aggiornati i propri profili). Al momento non esiste una formazione standard per diventare social recruiter: “È una professione in tale evoluzione – commenta Martini –. Detto ciò, ci sono moltissime persone che fanno reclutamento, ma poche che lo fanno in questo modo. Di spazio ce n’è”.

Un libro anche per i candidati. Il sottotitolo di “Social recruiter” è “Strategie e strumenti digitali per i professionisti HR”: “Questo non significa che il libro non possa tornare utile anche ai candidati” che, come spiega Martini, possono capire le dinamiche di selezione e muoversi di conseguenza. In molti oggi parlano di “Google cv”, ovvero il curriculum che si può evincere dai risultati ottenuti “googlando” un nome. Per questo è imprescindibile curare la propria reputazione digitale, sempre, anche quando non si è alla ricerca di un nuovo impiego, ma guardando al futuro: “Chi vuole cambiare lavoro non può partire da zero per costruire il proprio personal branding: si tratta di azioni da compiere a monte, secondo il principio del ‘dare senza avere l’obbligo di ricevere’. Le reti e la reputazione non si costruiscono in un giorno solo perché se ne ha bisogno, ma sono frutto di un processo continuo. Tutto dovrebbero essere sul pezzo in anticipo”, consiglia l’autrice.

Fonte : La Repubblica https://www.repubblica.it/economia/miojob/lavoro/2017/05/29/news/selezioni_assunzioni_social_network-166693235/

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